La battaglia che in queste settimane stanno combattendo in Lombardia mi fa pensare a quello che devono aver vissuto, circa millecinquecento anni fa, gli abitanti di quei territori, quando viderono arrivare da est non un virus, ma gli invasori Longobardi (“uomini dalla lunga barba”).
Questi, entrati dal Friuli, poco a poco riuscirono a conquistare quasi tutto il nord Italia – Milano prima, Pavia dopo, che diventò anche la capitale del Regno Longobardo – e certo non andarono troppo per il sottile, soprattutto all’inizio.
Poi le cose si calmarono, non è che prima gli abitanti di quei territori stessero così bene, in fondo nuovi padroni si stavano semplicemente sostituendo a quelli precedenti, e se uno era poveraccio prima, poveraccio restava anche dopo.
Il primo re fu Alboino, personaggio quasi leggendario, che dopo aver sconfitto in precedenza un altro popolo, i Gepidi, e ucciso il loro re, Cunimondo, prese per moglie la figlia di quest’ultimo, Rosmunda, come talvolta si usava fare.
Pare che una sera, forse ubriaco, ebbe la gentiliezza, per così dire, di offire del vino alla moglie, servito dentro al teschio del padre di lei, cosa che in genere se si vuole mantenere pace in famiglia non si fa.
Lei bevve senza fiatare, ma se la legò al dito, e qualche tempo dopo lo fece uccidere da un complice.
L’aveva presa male, non c’è dubbio.
I Longobardi non andarono più via dall’Italia, e lentamente si mischiarono alla popolazione, per cui possiamo dire che siamo tutti un po’ Longobardi.
A quei territori lasciarono il nome, Lombardia, e a noi tutti molte parole di uso quotidiano, come ad esempio palco, panca, scaffale, stamberga, stucco guancia, schiena, scherzo, schiuma, trappola e altre ancora.
Nell’immagine, “L’assassinio di Alboino, re dei Longobardi”, 1856, Charles Landseer.