Alla fine degli anni Novanta è arrivato internet a casa mia, e con esso la possibilità di visitare posti e incontrare persone che non conoscevo e che forse non avrei mai potuto conoscere direttamente.
Un giorno, mosso dalla curiosità, ho preso un posto a caso negli Stati Uniti, Lockytown, una piccola cittadina assolata del Nebraska, e ho cercato ogni riferimento possibile ad essa. Ho trovato un giornale locale, il “Locky Chronicle”, che allora si poteva sfogliare gratuitamente e ho preso l’abitudine quotidiana di leggerlo, senza mai smettere. Nel corso delle settimane, dei mesi e degli anni, tante cose di quella piccola città mi sono diventate così familiari.
Quando poi ho trovato un forum di discussione – allora non c’era Facebook – in cui si commentavano le notizie locali e i problemi quotidiani, mi sono fatto coraggio e con il mio inglese approssimativo mi sono presentato ai partecipanti. L’accoglienza è stata buona, e da allora ho cominciato anche a conoscere ed interloquire con alcuni degli abitanti, dei quali almeno due o tre potevano vantare lontane origini italiane.
E’ così che ho conosciuto la famiglia di Jason Scott, che ha pressappoco la mia età, ma che già aveva due figli piccoli. Lui era meccanico in una piccola officina alle porte del paese, ed era appassionato di macchine italiane, in quel tempo gli piacevano le Alfa Romeo. La moglie di Jason si chiama Roxane Bertoni, il nonno veniva dall’Emilia Romagna, e qualche volta ho scambiato due parole anche con lei, sebbene il suo italiano si limiti solo ad alcune frasi.
Oltre a Jason e Roxane, ho conosciuto anche altre persone, che non sto ad elencare tutte. Posso dire che con alcuni di loro sono cresciuto insieme, o meglio, sono un po’ invecchiato, dato che ero già grande quando ci siamo conosciuti. Ho seguito con sincera partecipazione tutti gli eventi di quella piccola città, come se fossi un abitante “esterno”. Ogni estate mi sono appassionato al loro evento più importante, una sorta di fiera agricola alla quale partecipano molte migliaia di persone, e che è il vanto di tutti loro. Nel 2005, quando a seguito di un tornado tutte le strutture sono state divelte e la manifestazione annullata, ho partecipato ad una piccola raccolta fondi, ricevendone grande apprezzamento. E a loro volta, quando c’è stato il terremoto qui in Italia centrale, mi hanno inviato dei soldi, che poi io ho girato alla Protezione Civile.
Io e loro ci siamo scambiati auguri, ricette, opinioni politiche, incoraggiamenti, sberleffi sportivi, preoccupazioni, gioie.
Con la nascita di Google Maps la mia frequentazione ideale è cresciuta di qualità: ho potuto vedere le case delle persone con cui mi intrattenevo, percorrere le strade che percorrevano loro, riconoscere finalmente le cose che mi erano state descritte e delle quali avevo visto soltanto in qualche foto che mi mandavano.
Nel corso degli anni poi gli strumenti si sono ulteriormente evoluti, e di conseguenza anche la possibilità di stare vicini nonostante la lontananza (quasi novemila km!).
Oggi con i social è tutto più facile, le pagine e i gruppi dedicati a quella città e alle varie attività che vi si svolgono si sono moltiplicate, ed ovviamente partecipo a tutte, sentendomi in qualche modo a casa. A volte ho anche litigato con alcuni di loro!
In questi giorni con Skype io e Jason ogni tanto ci siamo visti e sentiti, e scambiate riflessioni ma anche preoccupazioni – tante – per il virus che ha colpito entrambi i Paesi. Jason ha dovuto interrompere la sua attività, mentre Roxane, che fa l’infermiera, continua a lavorare nel locale ambulatorio.
I ragazzi hanno ormai intorno ai vent’anni: Robert è rimasto in una città più grande dove sta studiando, mentre Elisabeth più piccola è ancora con i genitori.
Penso che internet sia una buona cosa, e questa mia esperienza dimostra come si possa fare amicizia, un’amicizia importante, anche con persone conosciute per caso, che magari non incontrerò mai, anche perché questa storia è completamente inventata, ma poteva essere accaduta, ecco.