Il cognome paterno che per legge da solo ti porti dietro è implacabile, semina dietro di sé tutti quelli che lo hanno in qualche modo preceduto, che hanno contribuito a farti diventare quello che sei, e si prende un merito che ha solo in parte.
C’è tutto un miscuglio di persone che nelle decine e decine di anni precedenti sono state le origini della tua famiglia e il cui ricordo si perde col tempo.
Il tuo cognome si prende un diritto che non avrebbe, o per lo meno non avrebbe soltanto lui, è figlio di una convenzione che ci portiamo dietro e chissà per quanto tempo ancora sarà così. E anche se magari riuscissimo un giorno a conservare pure quello di mamma, sarebbero soltanto due i cognomi che per praticità ci portiamo dietro, e tutti gli altri si perderebbero per strada, sconfitti dalla sorte e dagli incroci dinastici.
I cognomi che abbiamo lasciato per strada, ma che sono importanti quanto quello che abbiamo conservato, sono parole che parlano, parlano di origini, di località, di storie, di intrecci.
Chissà i Nannetti e i Bianchi di Livorno, chissà i Nuti e i Tellini di Pisa, chissà gli Autodaro e i Fini di Montescaglioso, in Basilicata, chissà i Fantauzzi, i Granca, i Cioca, i Pasqualetti di Lugnano in Teverina, e chissà i Peruzzi, i Giurelli, e finalmente ultimo, almeno una volta, i Paolocci di Porchiano del Monte, insomma tutti i miei trisnonni, quanti cognomi lasciati per strada ma che sono parte di me al pari di quello che ho conservato.