What girls are good for.
A cosa servono le ragazze.
Era il titolo di un articolo piuttosto maschilista che apparve su un quotidiano di Pittsburgh, negli Stati Uniti, all’incirca nella seconda metà dell’Ottocento.
Una ragazza, dopo averlo letto, prese carta e penna e replicò sdegnata alle tesi del suo autore. Le parole che lei usò, colpirono così tanto l’editore del giornale, che dopo averne pubblicato la lettera, decise di rintracciarne l’autrice, per conoscerla.
Alla fine del colloquio, le propose un contratto e la inserì nella redazione del giornale, dopo aver scelto per lei – chissà perché – uno pseudonimo: Nellie Blye.
Per Elizabeth Jane Cochran, questo era il suo vero nome, iniziò in questo modo una brillante carriera di giornalista in un mondo che lasciava poco spazio alle donne e che le relegava esclusivamente al ruolo di mogli e madri. Per tutta la vita dovette infatti combattere contro un diffuso ostracismo da parte degli uomini, che la ostacolarono in tutti i modi.
Nellie Blye viene ricordata oggi anche per essere la pioniera di un particolare tipo di giornalismo, quello di investigazione sotto copertura, in cui bisogna travestirsi, fare finta di essere qualcun altro, per entrare in un ambiente e poterlo descrivere dall’interno, con tutti i rischi che questo comporta.
Un giorno finse di essere pazza, si fece internare in un manicomio, e vi rimase dieci giorni, alla mercé di medici, infermieri, operatori vari, che trattavano le persone con disagio psichico, senza alcun rispetto e spesso con violenza.
Un ospedale psichiatrico femminile, dove anche le donne che magari non riuscivano ad esprimersi bene, immigrate da altri Paesi, venivano riunchiuse e dimenticate per sempre.
Il reportage che Nellie scrisse quando riuscì ad uscire, contribuì a migliorare le condizioni di quel luogo, anche se poi sarebbero occorsi molti decenni ancora, prima di chiudere definitivamente i manicomi di quel tipo.
Un altro giorno decise di compiere il giro del mondo in meno di ottanta giorni. Era uscito da pochi anni il celebre romanzo di Jules Verne, e lei volle cimentarsi in un analogo viaggio, ma più veloce. In tutte le tappe, la folla la aspettava e la incitava. Ci riuscì in soli settantadue giorni, fu la prima donna non accompagnata da uomini a fare questa cosa, e divenne il simbolo dell’emancipazione femminile.
Aveva spiegato a tutto il mondo a cosa servono le ragazze.