Fu una lettura estiva, di quelle che dovrebbero essere spensierate, e che invece si sarebbe rivelata come un cazzotto nello stomaco.
Erano i primi anni Ottanta, l’adolescenza un po’ così, ma tutti sembravano contenti ed io cercavo di adeguarmi, i pomeriggi trascorsi nella biblioteca di Carrara, dove i libri avevano un buon odore che non avrei mai più dimenticato.
La dittatura in Grecia era terminata da un pezzo, e la vita straordinaria di Alexandros Panagulis pure, quando venne pubblicato “Un uomo” di Oriana Fallaci. Lei aveva promesso a lui che quella vita l’avrebbe raccontata, e quanto dolore in quella vita, quanta sofferenza, quanto eroismo.
Le torture di ogni genere, fisiche e mentali, che anziché sortire l’effetto sperato, sembravano solo accrescere l’incredibile forza d’animo di quest’uomo che con ogni mezzo aveva cercato e cercava di opporsi alla dittatura dei colonnelli.
Anche con il tirannicidio, che reputava legittimo in una situazione del genere. Era proprio il 13 agosto del ’68, il giorno del fallito attentato contro il dittatore, la bomba che non esplode al passaggio dell’auto, e Panagulis – che aveva orchestrato l’agguato – finisce in galera dove gliene fanno di tutti i colori e il libro di Fallaci non tralascia nulla di quel lungo orrore.
Sono gli anni Venti del duemila, quelli dell’età adulta un po’ così, di gente contenta in giro non ne vedo più tantissima, ma è di nuovo estate, e io quasi quasi lo rileggo.