Il comandante e proprietario della Nave Bianca si chiamava Thomas FitzStephen ed era orgoglioso di possedere una imbarcazione così veloce e moderna. Anche suo padre, che si chiamava Stephen FitzAirard, era stato capitano e proprietario di una nave che si chiamava Mora e che era stata al servizio di Guglielmo il Conquistatore.
Quella notte, novecento anni fa, il figlio Thomas FitzStephen pensò che sarebbe stato molto bello ospitare a bordo della propria nave il re Enrico I, che dalla Normandia doveva fare ritorno in Inghilterra. Purtroppo, il re aveva già organizzato il proprio rimpatrio a bordo di un’altra imbarcazione, e quindi declinò l’invito; ma suggerì che la Nave Bianca avrebbe potuto seguire la sua, ospitando il proprio figlio Guglielmo ed il resto della nobiltà che dovevano compiere lo stesso tragitto. E così fu.
Guglielmo guardò il cielo, ed era sereno; guardò il mare, ed era calmo; guardò l’equipaggio, che gli chiese del vino, e gliene fornì in grande abbondanza. Il percorso era breve, poco più di sessanta miglia marine, e la possibilità di raggiungere e superare la nave del re suo padre, lo indusse a chiedere al capitano Thomas FitzStephen di levare immediatamente l’ancora.
Questi ubbidì, ma non prima di aver lasciato a terra un bel po’ di gente, che le libagioni erano state abbondanti, e nella sua nave non voleva troppa confusione. Nonostante questo, tra ospiti e marinai, c’erano più di trecento persone, e il clima era allegro.
Durò poco, giusto il tempo di fare qualche centinaia di metri, e di andare a schiantarsi contro uno scoglio che affiorava al largo di Barfleur, e che fece rapidamente affondare la nave. Fu una strage. Guglielmo, il figlio del re, si sarebbe anche potuto salvare, a bordo di una barchetta che provvidenziale era giunta da riva in suo aiuto; ma le grida della sorella Matilde, che stava per affogare, lo indussero a tornare indietro, e in mezzo alla confusione, chi si attaccava da una parte, chi tirava dall’altra, anche questa barchetta affondò portando negli abissi il figlio del re.
Thomas FitzStephen, che aveva assistito alla scena tenacemente attaccato ad un pezzo di legno, preferì lasciarsi andare, piuttosto che dover raccontare al re della morte del suo caro figlio e morì anch’esso, come quasi tutti quelli che erano a bordo della nave.
Solo due persone si salvarono. Una era un nobile, che si chiamava Geoffrey de l’Aigle, e che avrebbe raccontato in seguito tutti i dettagli di quella tragica notte; l’altro era un macellaio, che si chiamava Berold, e che su quella nave nemmeno avrebbe dovuto esserci: era salito a bordo solo per reclamare il pagamento di una fornitura di carne, e in mezzo alla confusione, non si era accorto che la nave era salpata e che ormai era tardi per scendere. Si salvò dal freddo gelido di quella notte solo grazie al suo abito di pelo di montone, che lo protesse dall’ipotermia.
Il naufragio della Nave Bianca, avvenuto sulle coste della Normandia la notte del 25 novembre 1120, ebbe come conseguenza un periodo di anarchia nella storia inglese. Oggi, di fronte a quello scoglio, c’è un campeggio che ai suoi ospiti, fra le altre attività, propone una gita in barca, sorseggiando del buon vino.