Ottone Frangipane era un cavaliere che un giorno, mentre si batteva contro alcuni ribelli nei pressi di Frascati, venne fatto prigioniero, messo in catene e rinchiuso in una torre.
Era il 1058.
La notte cercò conforto e intercessione pregando San Leonardo di Noblac, un santo molto venerato nel Medioevo, considerato oggi come allora il protettore dei carcerati.
Le preghiere non furono recitate invano, e lui si trovò miracolosamente libero.
Ogni tanto mi capita di raccontare bugie
Ogni tanto mi capita di raccontare bugie. Sono per lo più bugie innocenti, magari per non far preoccupare qualcuno. Dico ad una persona cara che quello che sto per fare non è pericoloso, quando invece potrebbe esserlo. Oppure dico ad un escursionista che la salita che stiamo percorrendo sta per terminare, quando invece potrebbe durare ancora.
Per dire bugie più grosse bisogna impegnarsi di più, come fece Giuseppe Vella, la cui storia mi affascinò e che vorrei brevemente raccontare a beneficio di chi eventualmente non la conoscesse.
Avrò avuto vent’anni
Avrò avuto vent’anni ed entrai in crisi. Non dormivo la notte, avevo l’ansia e paura di tutte le malattie presenti nell’enciclopedia medica di famiglia, la Garzantina.
L’università era un disastro, frequentavo Scienze Biologiche, e non capivo nulla di matematica, e come poteva essere diversamente, considerando che all’esame di maturità scientifica avevo consegnato in bianco il compito di quella materia.
Mia madre sentenziò: “Hai l’esaurimento nervoso perché non riesci negli studi”. Io andai da mio padre in salotto, gli annunciai “Ho l’esaurimento nervoso perché…” e prima di completare la frase lui mi disse “Buttati nello studio che ti passa”.
Io piuttosto mi sarei buttato dalla finestra, ma eravamo poco più che al piano terra e quindi per cercare di guarire andai da un famoso psichiatra locale.La sala d’aspetto aveva le pareti foderate di materassi e mentre attendevo il mio turno pensai che forse era per evitare che qualcuno in preda alla disperazione ci si buttasse contro e l’immagine di noi che uno dopo l’altro ci schiantavamo contro le pareti mi fece ridacchiare da solo, il che provocò di conseguenza una certa preoccupazione fra gli astanti.
Quando entrai, lo psichiatra mi fece parlare a lungo, poi prese un martelletto e cominiciò a colpirmi con delicatezza in vari snodi del corpo, e ad ogni snodo io saltavo come una mina.
“Ansia e ipocondria”, fu la diagnosi, e mi prescrisse un farmaco che si chiamava EN. La mattina dopo cominciai a prendere le gocce che mi aveva prescritto, ma siccome avevo paura di fare la fine di Marilyn Monroe io dimezzai la dose e mi accontentai dell’effetto placebo, che comunque era potentissimo.
La boccettina terminò, l’estate passò velocemente, e quando arrivò l’autunno mi iscrissi al corso di laurea di Storia.
La paura di morire e di avere le malattie non mi abbandonarono, ma si erano affievolite.
Il primo libro che mi fecero studiare si intitolava “L’uomo e la morte dal Medioevo ad oggi”.
Nell’immagine, “Bambino malato portato nel tempio di Esculapio”, 1887, John William Waterhouse.
La battaglia che in queste settimane
La battaglia che in queste settimane stanno combattendo in Lombardia mi fa pensare a quello che devono aver vissuto, circa millecinquecento anni fa, gli abitanti di quei territori, quando viderono arrivare da est non un virus, ma gli invasori Longobardi (“uomini dalla lunga barba”).
Questi, entrati dal Friuli, poco a poco riuscirono a conquistare quasi tutto il nord Italia – Milano prima, Pavia dopo, che diventò anche la capitale del Regno Longobardo – e certo non andarono troppo per il sottile, soprattutto all’inizio.
In questo periodo
In questo periodo ci poniamo tutti molte domande, e tante le scriviamo, mettendo in fondo alla frase un punto interrogativo.
Ogni cosa ha una storia, e anche i punti interrogativi ce l’hanno.
Per raccontarla, a beneficio di chi eventualmente non la conoscesse, bisogna tornare molto indietro, all’età di Carlo Magno, fra l’ottavo e il nono secolo, quando in una abbazia non troppo lontano da Parigi, Corbie, i monaci che quotidianamente si dedicavano alla realizzazione di manoscritti e miniature, cominciarono ad utilizzare una nuova forma di scrittura, che avrebbe poi avuto molto successo, arrivando praticamente fino a noi: la minuscola carolina.
Partirono proprio oggi
Partirono proprio oggi, novant’anni fa.
All’inizio poche decine di persone, ma all’arrivo, ad aprile, erano ormai diverse migliaia.
“Ho chiesto in ginocchio pane, ma ho ricevuto pietre”. Con queste parole Gandhi promosse la famosa e simbolica Marcia del Sale, che si svolse per 24 giorni in maniera nonviolenta lungo i 320 km che separano Ahmedabad a Dandi, nello stato del Gujarat, in India.
Nonostante i colpi di sfollagente dei poliziotti inglesi, i manifestanti continuarono a camminare sostituendo quelli che venivano colpiti ed arrestati.
Arrivati finalmente alle saline, raccolsero simbolicamente una manciata di sale, per protestare contro il monopolio che ne deteneva l’Impero Britannico.
Qualche settimana dopo, anche Gandhi venne arrestato, insieme ad altre decine di migliaia di persone.
Ma la lotta per l’indipendenza dell’India non si fermò.
Probabilmente in Puglia
Probabilmente in Puglia in questo periodo hanno ben altro a cui pensare, ma se fossero state settimane più tranquille certamente avrebbero trovato il modo di celebrare i mille anni dalla scomparsa di Melo, che insieme a suo cognato Datto si resero protagonisti di una rivolta che i bizantini si ricordarono per un pezzo.
Il primo era nato intorno al 970, mentre il secondo una decina di anni dopo, entrambi a Bari. Di probabili origini longobarde, ma di cultura greca, di buona famiglia, insofferenti alla pesante imposizione fiscale del locale catapano (l’ufficiale bizantino che governava quel luogo), gli si ribellarono fra il 1009 e il 1010, lo fecero passare a miglior vita e per un po’ di tempo pensarono di aver risolto i problemi.
La data della morte di Juan Ciudad
L’8 marzo è la Giornata internazionale dei diritti della donna, e questa celebrazione importante mette sempre in secondo piano il fatto che è anche la data della morte di Juan Ciudad, nato in Portogallo nel 1495 e morto in Spagna nel 1550, l’8 marzo, appunto.
Era un tipo un po’ stravagante, Juan, e nella sua vita straordinaria fece tanti mestieri, oltre ad andare in giro come capitava spesso in quel periodo. Scappò di casa che aveva soltanto otto anni, e dal Portogallo arrivò in Spagna dove, non conoscendo il suo cognome, cominciarono a chiamarlo Juan de Dios.
Fu scritto in occasione di un matrimonio
Fu scritto in occasione di un matrimonio negli anni Trenta, ma la mancanza di nomi, e di date, mi permette di dedicarlo a chiunque legga.
A me andare a votare ha sempre emozionato
A me andare a votare ha sempre emozionato.
Lo farò anche domenica, alle suppletive dell’Umbria, dato che dobbiamo sostiture Donatella Tesei, senatrice, diventata presidente della Regione, e quindi non più presente a Palazzo Madama.
E mi emozionerò ancora.
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Oggi è il 2020, ieri era il 739
Oggi è il 2020, ieri era il 739.
D’inverno oggi, d’estate ieri.
Cammino oggi all’alba verso Amelia, e forse calpesto qualche pietra che calpestarono ieri i Longobardi di Liutprando, tornando da Roma verso settentrione, e conquistando una dopo l’altra Blera, Bomarzo, Orte, Amelia.
La si intravede laggiù, tra le nebbie, Amelia.
Ne fece di cotte e di crude, Carlomanno
Ne fece di cotte e di crude, Carlomanno, figlio di Carlo Martello, e d’altra parte i tempi erano quelli, ed il ruolo pure.
Poi un giorno del 747 decise che ne aveva avuto abbastanza, e comunicò al fratello Pipino – il padre di Carlo Magno – che avrebbe voluto farsi monaco, troppo sangue era passato per le sue mani.
Quell’anno l’esercito, anziché combattere da qualche parte, lo accompagnò in questo suo desiderio, fino a Roma, dove gli tagliarono i capelli e gli fecero indossare l’abito da monaco.
Da lì, poi, si recò sul monte Soratte, dove trascorse i primi tempi di questa sua nuova vita.
Mi è venuto in mente, mentre sono seduto alla mia scrivania, volgendo lo sguardo a sinistra, e guardando quella montagna in lontananza.
In ricordo di Elena Fasano Guarini
A quasi un anno dalla sua scomparsa, vorrei ricordare qui la professoressa Elena Fasano Guarini, con la quale ebbi il piacere di sostenere l’esame di Storia Moderna e quello di Storia degli Antichi Stati Italiani, presso l’Università di Pisa, dove era diventata prima direttrice del Dipartimento di storia moderna e contemporanea, e poi preside della Facoltà di lettere e filosofia. La professoressa Fasano Guarini fu anche la relatrice della mia tesi di laurea, nella quale portai uno studio sui Diari di Gherardo Burlamacchi. Fu proprio in quei mesi di duro lavoro dedicato alle carte di questo mercante lucchese del Cinquecento, che maturai piano piano il desiderio di diventare biografo, ricevendo il suo incoraggiamento. Nata nel 1934 a Milano, era stata vincitrice del primo corso aperto anche alle donne presso la Scuola Normale Superiore, dove poi mi mandò per delle ricerche (conservo ancora per ricordo una malleveria scritta di suo pugno). Fu poi borsista presso l’Istituto italiano di studi storici di Napoli e successivamente lavorò a Parigi all’Ecole Pratique des Hautes Etudes, con Fernand Braudel. Insuperabile il suo lavoro per la realizzazione della Carta del Granducato di Toscana, che rimane un eccellente esempio di cartografia storica. Ma a parte la carriera e i titoli accademici, la preparazione e la capacità di insegnamento, il ricordo che più mi rimane di lei è l’infinita dolcezza e disponibilità nei confronti di noi studenti.