Lui era il più grande scrittore proletario dell’epoca, si chiamava Maksim Gorkij, e da poco avrebbe festeggiato quarant’anni dall’inizio della sua produzione letteraria. Come celebrarlo? Costruendo il più grande aereo del mondo e chiamandolo come lui. Pazzesco!
Era il settembre del 1932: l’Unione Sovietica voleva mostrare al mondo le sue capacità industriali, ma costruire un aereo del genere non sarebbe stato uno scherzo, occorrevano soldi, tanti soldi, e allora si promosse una raccolta fondi che coinvolse tutta la popolazione.
Arrivati i soldi, la progettazione fu affidata ad un gruppo di ingegneri guidati da Andrej Tupolev, un tecnico di grande esperienza. La mattina del 4 luglio 1933 il gruppo di lavoro si mise intorno al tavolo, matite in mano, e nel pomeriggio del 3 aprile 1934, meno di un anno dopo, l’aereo fu completato!
Certo, andava provato. Allora non esistevano computer o simulatori di volo, bisogna salire, accendere i motori, incrociare le dita e via, volare. Si chiamava Gromov il coraggioso pilota che per primo un paio di mesi dopo fece decollare l’unico esemplare mai costruito di Tupolev ANT-20, così fu denominato, anche se tutti lo chiamarono Maksim Gorkij, come lo scrittore a cui era stato dedicato.
Che spettacolo vederlo sfrecciare sul cielo. Era immenso, con i suoi otto motori: sei sulle ali, tre da una parte e tre dall’altra, e due sopra la fusoliera, uno che tirava e uno che spingeva, per così dire. Quando lo vedevi arrivare, rimanevi a bocca aperta, sapendo che al suo interno trovavano spazio anche una stazione radio, un proiettore di film, una libreria, una macchina per stampare libri: tutta l’attrezzatura che serviva per la propaganda.
Vi erano anche delle cuccette, dove i passeggeri si potevano sistemare. La maggior parte nella carlinga, ma alcune anche all’interno delle ali. Si poteva dormire nelle ali dell’aereo più grande del mondo!
Solo ad uno straniero fu concesso di salire a bordo di questo fantastico mezzo: lo scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry, l’autore del celebre “Il piccolo principe”. Possiamo immaginare lo stupore e l’ammirazione che provò, lui che era anche aviatore, nel visitare un apparecchio di tali dimensioni.
Chissà cosa pensò, il giorno dopo, quando apprese che il Tupolev ANT-20, o meglio il Maksim Gorkij, era precipitato sopra Mosca dopo una collisione con un aereo di scorta. A bordo, oltre ai piloti, c’erano una quarantina di passeggeri emozionati, familiari di alcuni dei lavoratori che avevano contribuito alla sua realizzazione. Morirono tutti.
Ne venne costruito un altro, l’anno successivo, simile, con un paio di motori in meno, e che per una decina d’anni proseguì i voli di propaganda sull’Unione Sovietica, prima di precipitare pure lui nel 1942, in circostanze mai chiarite.
Analoga sorte toccò, una paio di anni dopo, anche ad Antoine de Saint-Exupéry, abbattuto da un caccia tedesco nell’estate del 1944. Chissà se, negli ultimi istanti di vita, avrà pensato a quel giorno in cui era salito sull’aereo più grande del mondo.