Quante storie, dietro alle parol! Alcune nel corso dei secoli hanno cambiato completamente il loro significato.
Usiamo oggi il termine “manomettere” in termine negativo, quando vogliamo descrivere una forzatura, uno scasso, una modifica a qualcosa per danneggiarla, mentre un tempo indicava semplicemente le varie forme giuridiche per le quali uno schiavo otteneva la libertà. Era un momento bello, la “manumissio”!
Altre possono vantare una data di nascita precisa.
Quando siamo in mezzo al caos, ad un rumore infernale, talvolta diciamo che è un “pandemonio”, una parola che è stata inventata dallo scrittore John Milton, che visse nel diciassettesimo secolo.
Anche il nostro D’Annunzio non fu da meno, quando inventò il nome femminile “Ornella”, per indicare la protagonista di un suo romanzo.
E “parapiglia”, che è una parola bellissima? Masuccio Guardati in una sua opera utilizzò i due termini vicini ma separati, oggi uniti insieme, per indicare il trambusto, la confusione. “Para! Piglia! Para! Piglia!”.
La parole che preferisco sono “magari” e “mitigare”, e il nome che per uno scherzo da prete non mi è stato dato “Monos”, e quello che invece mi sono trovato “Marcello”, con tutto l’odio che ho provato però da bambino per quelli che mi dicevano in continuazione “Marcellino pane e vino”, per poi chiedermi subito dopo “Ce l’hai la fidanzata?” che io non avevo, e l’avrei avuta soltanto anni e anni dopo, troppi, decisamente.
Ma questa è un’altra storia.
Nell’immagine, “Il mercato degli schiavi”, Gustave Boulanger, 1886.