Lunga più di duecento metri, larga più di venti, una nave così grande non si era mai vista. Il suo progettista, Isambard Kingdom Brunel, era un ingegnere che accettava tutte le sfide che gli si ponevano davanti: aveva costruito ponti, ferrovie, gallerie, e figuriamoci se non sarebbe stato in grado di costruire la nave più grande del mondo.
D’altra parte, se si voleva navigare a vapore dall’Inghilterra all’India, da qualche parte il carbone bisognava metterlo, e di spazio ce ne voleva tanto. La navigazione sarebbe stata assicurata da due gigantesche pale, ma poi c’era anche un’elica aggiuntiva, e come se non bastasse, pure delle vele, che non si sa mai ci fosse stato bisogno anche del vento.
In alto, svettavano ben cinque fumaioli; in basso, un doppio fondo lungo tutta la chiglia, che le garantiva una grande sicurezza.
Dopo aver risolto problemi di ogni tipo, all’inizio dell’estate del 1860, la Great Eastern prese finalmente il mare, e iniziò una carriera piena di grandi successi. Fu lei, che imbarcò nelle sue stive un cavo arrotolato lungo ben tremilasettecento km, che posato lentamente nelle profondità dell’oceano Atlantico, permise il primo collegamento di questo tipo fra l’Europa e l’America. E fu sempre lei, che tra i suoi passeggeri, un giorno imbarcò uno scrittore che da quella esperienza ricavò prima un romanzo dal titolo “Una città galleggiante”, e fu di ispirazione al contemporaneo “20.000 leghe sotto i mari” e al successivo “Il giro del mondo in 80 giorni”. Si trattava di Jules Verne.
Ma non furono solo rose e fiori, per la Great Eastern, i cui costi di esercizio furono enormi: ci furono anche incidenti di ogni tipo. Prima ancora del viaggio inaugurale, la nave si arenò lungo il Tamigi. Qualche tempo dopo, uno dei fumaioli saltò in aria con una grande esplosione. E, come se non bastasse, un giorno nei pressi di New York la nave urtò uno scoglio, che provocò un enorme squarcio sulla fiancata. Per fortuna non era lontana dalla terraferma, e fu possibile trainarla in un cantiere navale, e ripararla.
Ma quando tornò a navigare, dopo quest’ultimo incidente, non fu più la stessa. Per qualche giorno, i marinai raccontarono di strani rumori e suoni che provenivano dalle zone più profonde dello scafo, senza riuscire a identificarli. Qualcuno scomodò persino i fantasmi, per trovare una spiegazione. Poi i rumori cessarono, e nessuno pensò più a quella faccenda.
Ritornò però in mente nel 1888, quando la nave venne demolita alla fine della sua carriera, e si scoprirono nella doppia chiglia i cadaveri di due operai, rimasti intrappolati durante le riparazioni, e che invano avevano cercato di far sentire la loro presenza.
Nell’immagine, l’ingegner Isambard Kingdom Brunel assiste al varo della Great Eastern.